Quante volte ci siamo detti che non si può aiutare chi non vuole essere aiutato? E’ una verità difficile accettare per buona parte di noi, portati naturalmente, addirittura biologicamente, all’empatia e alla compassione verso il prossimo. Se di questo desiderio empatico abbiamo fatto una professione, questa verità dobbiamo tenerla bene a mente, cercando di resistere a quella tentazione di salvare l’intero genere umano che è, a ben vedere, più legata al bisogno di salvare se stessi attraverso gli altri che ad un sovraffollamento di neuroni specchio nella nostra testa.

Una volta compreso questo dovremmo essere più o meno pronti ad intraprendere quel delicato e complesso percorso, di studio e di vita, che un giorno farà di noi degli “esperti della relazione d’aiuto”. Resto sul generico perché non vorrei far torto a nessuno stilando un elenco delle innumerevoli, quasi infinite, varianti che affollano, e un po’ sovraffollano, il mercato delle professioni genericamente definite “relazione di aiuto”; ma resto sul generico anche perché, in quanto parte dell’ipotetico elenco da stilare, credo personalmente che il mondo sarebbe un posto migliore se ognuno di noi si cimentasse con ciò che è di sua competenza, magari contestualmente interessandosi e informandosi su quanto invece è di competenza altrui. Lascio quindi a coloro che non hanno vinto il loro bisogno di salvare l’intera umanità il piacere di creare una hit parade delle professioni che vanno sotto il generico nome di “relazione di aiuto”.

Quando qualcuno mi chiede quale lavoro io faccia, il mio primo pensiero è: “come faccio a spiegare in un tempo accettabile per una conversazione informale che uso la filosofia (ovvero quella cosa per molti astratta, per alcuni oscura e per i più sterile esercizio di snobismo intellettuale) per aiutare le persone a migliorare la qualità della loro vita?”.

Tutto questo perchè sono un consulente filosofico.

La consulenza filosofica al tempo di Socrate non bisognava chiamarla consulenza filosofica.  In effetti allora la filosofia era una faccenda pratica, per cui si faceva filosofia più che parlare di filosofia.

Oggi le cose sono un po’ più complicate e tra le innumerevoli reincarnazioni di Socrate che affollano il nostro pianeta, diventa necessario sapersi e

potersi orientare. Questo per due ragioni fondamentali: tutelare i professionisti di quella relazione d’aiuto che va sotto il nome di consulenza filosofica e tutelare gli eventuali clienti che scelgono di rivolgersi proprio ad un consulente filosofico.

Facciamo dunque chiarezza sul percorso necessario da intraprendere  e portare a termine (ricordando sempre che gli esami non finiscono mai) per poter svolgere la professione di consulente filosofico: una laurea in filosofia (preferibilmente quadriennale o quinquennale), il diploma rilasciato da una scuola di consulenza filosofica accreditata da un organo competente (SiCo, SiCoF, AICoFi ecc.), la partecipazione periodica (una volta conseguito il diploma) a corsi o attività di aggiornamento sulla consulenza filosofica, una predisposizione all’ascolto, all’empatia e all’accoglienza di tutto ciò che è altro da noi (e per questo non esiste scuola: bisogna sperare di esserne dotati per natura).

Quello che mi preme sottolineare, e che rappresenta un aspetto troppo spesso sottovalutato, pur essendo tutt’altro che banale, è che del suddetto percorso formativo dovrebbero essere a conoscenza non solo i futuri consulenti filosofici, ma anche tutti i potenziali clienti della consulenza filosofica.

Sia chiaro, seguire l’iter formativo di cui sopra non garantisce che il consulente filosofico, per il solo fatto di essersi formato secondo le “regole” sia un professionista capace. Allo stesso modo, essere dei clienti informati sul tipo di professionista a cui ci si sta rivolgendo non mette al riparo da una prestazione insoddisfacente da parte del consulente. Questa però è la realtà di tutte le professioni e, come in quasi tutte, sarà l’esperienza a guidare eventualmente il cliente verso un consulente filosofico più capace.

Ma se un potenziale cliente ignora il tipo di preparazione necessaria per intraprendere questa professione gli verranno a mancare preziose informazioni per potersi orientare nella scelta di un percorso di “cura” (da intendersi filosoficamente); né gli sarà chiaro a che tipo di professionista egli si stia rivolgendo. Tutto questo reca altresì un danno alla consulenza filosofica in quanto professione seria e dignitosa, che subirebbe così le conseguenze delle esperienze negative che un improvvisato consulente filosofico porta all’immagine della professione stessa e di quei consulenti che la svolgono con preparazione e competenza.

Forse dal consulente filosofico ci andremmo un po’ più volentieri che dal dentista, ma sono sicura che una volta entrati in uno studio, che sia quello del dentista o quello del consulente filosofico, tutti noi in cuor nostro spereremmo di avere a che fare con un vero professionista.