Come è cambiata la comunicazione al tempo dei social network? E’ giusto parlare di “comunicazione” in riferimento ai canali social? Quanto un nuovo modo di comunicare e un diverso luogo in cui esprimersi hanno influenzato la nostra capacità di analisi e comprensione e la conseguente elaborazione di un pensiero che possa definirsi tale?

 

Da tempo siamo ormai abituati a “incontrarci” in una dimensione virtuale. Condividiamo con una rete di persone momenti della nostra vita, immagini di luoghi esotici, di piatti invitanti o del nostro animale domestico, ma anche riflessioni, poesie, citazioni di grandi autori.

Ci sono non pochi aspetti utili o vantaggiosi che i social network ci hanno regalato: tenerci in “contatto” con le persone che amiamo e che magari vivono dall’altra parte del mondo, per esempio; ma anche promuovere la nostra attività o il nostro lavoro, dal momento che le pagine facebook hanno di fatto sostituito i vecchi siti web. C’è poi il vantaggio di essere sempre aggiornati su notizie, eventi, iniziative. Sono, questi, solo alcuni degli aspetti positivi dell’era social.

Ma, così come accade per tante altre cose, è l’uso (o l’abuso) che si fa di un social a fare la differenza.

Ai tempi di Socrate la piazza (Agorà, che in greco antico significa proprio raccogliere, radunare), era il luogo della democrazia, uno spazio in cui le persone si ritrovavano, fisicamente, per discutere i problemi della comunità e questioni di varia natura. E’ un peccato che questa abitudine si sia perduta nel tempo, è un peccato per quel “fisicamente”.

I social potrebbero essere considerati le nuove Agorà 2.0? Piazze virtuali in cui scambiarsi opinioni e confrontarsi sui più diversi problemi, politica compresa? In linea teorica, credo di sì. Certo, verrebbe a mancare il contatto di voci, sguardi, gesti e pensieri, ma sarebbe comunque un uso all’altezza del progresso tecnologico in questione. E non mancano lodevoli tentativi in tal senso, per quanto rari. Ma cosa succede se dalla teoria ci si sposta nella pratica quotidiana? Questo spazio virtuale è diventato, nel tempo, un amplificatore di limiti esistenziali, uno spazio in cui l’esperienza non ha più nulla da insegnare.

Complici di questo dramma la velocità con cui le informazioni ci arrivano (la maggior parte delle quali spesso incomplete, distorte o addirittura false); la facilità nel reperire le stesse (che conduce, ahinoi, ad un impigrimento del pensiero); la comodità degli strumenti (i famosi tasti “condividi”, “mi piace”, “rimuovi commento”, ”rimuovi dagli amici”) che rendono apparentemente tutto semplice, inclusa la complessità delle relazioni umane.

 

Qual è dunque lo scenario culturale di questo mondo virtuale?

Proviamo ad individuare quelle che possiamo definire le grandi aree tematiche dei social, (per evidenziarne gli aspetti comunicativi e le dinamiche sociali).

 

Animalisti politici ( non ce ne voglia Aristotele!)

In questa area possiamo trovare gli accaniti sostenitori virtuali di un credo o un principio etico che poco o nulla hanno a che fare con chi adotta una condotta di vita nel mondo reale. Assisteremo, così, impotenti, e a volte saremo anche coinvolti, nostro malgrado, a vere e proprie guerre a colpi di tastiera e condivisioni di video di denuncia il cui principio ispirante è il paradosso secondo il quale chi ama talmente tanto l’intero universo e tutte le sue forme di vita da scegliere di non nutrirsi di animali (e in alcuni casi di non consumare o utilizzare nessun derivato animale), augura la peggiore delle morti tra atroci sofferenze ad altri esseri umani per il semplice fatto che non la pensano come lui.

Chi, d’altro canto, sceglie di aderire ad un credo religioso, partendo dal presupposto che la sua scelta rappresenti l’unica verità, si sente, in ragione di ciò, autorizzato ad etichettare come contro natura, e per questo condannabile, ogni scelta differente dalla propria. Sempre a colpi di link, ovviamente.

E la politica? Nei casi succitati vegetariani, vegani e cattolici dell’inquisizione nella loro

veste virtuale che, con alcune eccezioni, non è quella reale (ricordiamolo ancora una volta a scanso di equivoci), nei loro scontri senza confronto reale, nell’urgenza di “condivisione social”, mettono in atto una pretesa comunicativa priva di comunicazione, perfettamente in linea con l’attuale scenario politico. In una eterna campagna elettorale costruita sul “mamma, è colpa sua!” e in un clima da stadio, il dibattito politico del social network ha come principali argomenti lo scoop che inchioda il personaggio politico del momento, la condivisione di post sui demeriti dell’avversario e l’elenco in hashtag degli errori del precedente o attuale governo ( a seconda di chi si è votato o del partito di appartenenza). Tutto questo anche con la complicità di alcuni giornali che, al passo coi tempi, da canali di informazione si sono trasformati in cacciatori di scoop e, talvolta, purtroppo, in diffusori di fake news.

 

Prima gli italiani

Quando si parla di politica si parla necessariamente anche di come la politica dovrebbe    gestire i temi legati alla società. Il mondo virtuale dei social segue delle regole ben precise in questo senso. L’argomento di cui si sente parlare più spesso è quello su cui l’utente di quest’area investe maggiori energie e riversa tutte le sue ossessioni.

Il tema caldo del momento è appunto la questione dei migranti. In un dialogo con se stessi privo di analisi reale ma allo stesso tempo ricco di ansia da condivisione, nella speranza di convertire le masse del web, quelli che “prima gli italiani” ci regalano interessanti sfaccettature del fenomeno in tre diverse prospettive:

 

  1. Politica: dimmi chi voti e ti dirò cosa pensi dei migranti
  2. Sociale: integrazione vs “aiutiamoli a casa loro”
  3. Culturale: “Chi ha paura dell’uomo nero?”; “ho anche molti amici di colore”; “Non sono razzista, ma…”

 

 

L’utente virtuale di quest’area trova singolari punti in comune con l’animalista politico perché è solito mischiare, nelle sue condivisioni, video e notizie (il più delle volte fake) di “gente di colore” che commette le peggiori nefandezze (con l’intento, spesso malcelato, di trovare consensi rassicuranti e istigare all’indignazione di massa) con post di animaletti indifesi e maltrattati cui riserva tutta la sua empatia (che empatia non è in quanto selettiva).

Non sono assenti dalle bacheche di questi utenti citazioni letterarie e filosofiche che danno un sapore intellettuale al loro razzismo.

 

 

C’eravamo tanto indignati

Apparentemente la più innocua, quest’area nasconde una pericolosità che sfocia nell’offesa all’intelligenza umana. Circolano in rete e sui social migliaia di fake news contraddistinte da scritte a caratteri cubitali ( la sindrome da caps lok, ovvero urlo dunque sono) che suonano tutte più o meno così: E’ ASSURDOOO, HANNO NASCOSTO A TUTTI LA VERITààà!!!! CONDIVIDI PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI…TUTTI DEVONO SAPERE!!!! (con variazioni sul tema del tipo “condividi se sei indignato”, “condividi se hai un cuore”, “condividi se vuoi il ritorno del duce” e così via). E l’utente indignato condivide.

 

 

Insomma, il panorama social può apparire molto deprimente ad una attenta analisi. Viene da chiedersi che significato abbia assunto la condivisione con la nascita del tasto “condividi”. A chi ci rivolgiamo con i nostri post? A chi stiamo parlando dal nostro angolo di mondo virtuale? Ci sentiamo soli in presenza di noi stessi e così abbiamo bisogno di un pubblico?

Se è cosi facile cancellare persone e opinioni che non trovano la nostra approvazione perché non confermano il nostro pensiero (fermo restando che è un nostro diritto “eliminare un contatto” con cui non abbiamo davvero nulla da condividere, così come facciamo nella vita reale), ciò che condividiamo ha un limite molto invalidante: deve essere condiviso nel senso di approvato.

I social ci stanno dis-abituando al confronto con pensieri Altri e differenti? Viviamo in un mondo virtuale cullati nell’illusione di avere il pieno controllo delle nostre parole e dei nostri pensieri così come delle parole e dei pensieri dell’altro?

La facilità con cui possiamo decidere cosa leggere e non leggere, cosa vedere e non vedere, quali commenti alle nostre idee tenere e quali cancellare, ci può far provare un grande senso di libertà, ma può anche ingabbiarci nei nostri limiti e nelle nostre incoerenze.

Una cosa è certa: nell’epoca del social network abbiamo nostro malgrado perso un pezzetto di autenticità. Ci sentiamo più protetti e quindi autorizzati a nascondere qualcosa di noi. Anche il razzista, in questo mondo alternativo può camuffarsi da “portatore di un pensiero controcorrente che non è stato capito”. E’, questo, un razzismo che fa ancora più paura, perché non svela ciò che è e così facendo può ingannarci.

Tutti (o quasi) abbiamo, almeno una volta nella vita, litigato con un amico prima che i social entrassero nelle nostre vite. Abbiamo atteso un tempo indeterminato cercando le parole giuste da dire. Abbiamo preso coraggio, sollevato la cornetta del telefono (quella con la rotella dei numeri o magari quella di una cabina telefonica nel mezzo del nulla) e, con una voce speranzosa e timorosa allo stesso tempo, abbiamo atteso una voce dall’altra parte della cornetta che ci rassicurasse. Abbiamo percorso una strada, lunga o breve, non importa. Abbiamo rimandato tutto il resto. Siamo arrivati all’appuntamento in anticipo o in ritardo col cuore in gola. Abbiamo guardato il nostro amico negli occhi e abbiamo iniziato a parlare a braccio, ignorando tutti i discorsi che ci eravamo preparati nell’attesa. Ci siamo sentiti nudi perché vestiti solo delle nostre emozioni. Siamo stati autentici.

Oggi c’è un tasto per tutto e una emozione virtuale per tutto. Tutto è più rapido e indolore. Ma, lo sappiamo, la parte migliore di noi l’abbiamo costruita sul dolore.

Non tutto è perduto. Dei social si può anche fare un uso costruttivo e creativo. La versione 2.0 dell’ironia, ad esempio, può rimetterci in pace con noi stessi e col mondo anche dopo aver avuto a che fare con le tre aree tematiche tutte insieme.

Certo, anche lì fuori non è molto rassicurante. Ci saranno diverse versioni ed “evoluzioni” delle sentinelle in piedi ad aspettarci. Ma se con i loro libri in mano a testimonianza di un assurdo controsenso, riusciranno a smuoverci dal nostro pc o dai nostri smartphone, perché faranno nascere in noi il desiderio di andargli a dire che noi non la pensiamo come loro, che per noi di innaturale ci sono solo la chiusura mentale e l’ottusità, argomentando le nostre idee senza ricorrere a wikipedia, e con la consapevolezza di essere indifesi in quanto a rimozione dei commenti ma liberi di prendere altre strade, beh, allora ne sarà valsa la pena.

 

Ah, tra gli usi vantaggiosi per alcuni di noi (non per tutti, per fortuna), dobbiamo menzionare questa nuova figura social: gli imprenditori digitali. Ma le tre aree social ci hanno già messo a dura prova per il momento.